Maggiore disoccupazione, disparità economiche ed enormi difficoltà a conciliare vita privata e lavoro: le avversità e i pesi che le madri devono sopportare superano quelle dei padri e ciò incide su tutta la comunità.
L’indagine del Mother Index Regionale all’interno del rapporto di Save The Children: “Le equilibriste. La maternità in Italia”, dipinge un quadro con alti e bassi e forti differenze tra settentrione e meridione.
Cambiamenti demografici
Le madri italiane sono più grandi di età, più istruite e nubili più di frequente. Nel Belpaese la natalità continua a calare, le donne continuano a rimandare la decisione di avere figli e in media hanno il primo a 32 anni. Discorso diverso per le madri straniere in Italia, che hanno il primo figlio in media a 28 anni. Eppure, delle donne in fascia d’età 18/49 anni, meno del 2% dichiara di non volere figli, ma la contingenza economica negativa avrebbe portato a un peggioramento della situazione.
Inoltre scende anche il numero medio di figli per donna, che arriva a 1,34 figli, con differenze fra Nord e Sud. L’analisi delle ragioni addotte per la rinuncia ad un ulteriore figlio sono principalmente economiche, seguono ragioni legate all’età e al raggiungimento del numero ideale di figli.
Problemi economici
Nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro, l’Italia occupa il penultimo posto per l’occupazione delle donne in Europa e la maternità continua ancora oggi ad incidere negativamente sulla situazione occupazionale. Lavorano il 62% delle donne con un figlio, circa la metà di quelle con 2 e meno del 40% di quelle con 3. La scelta tra carriera e famiglia riguarda solo marginalmente i padri, che sono occupati nell’89% dei casi, salvo in caso di 3 o più figli. Il primo problema da affrontare è dunque la difficoltà a conciliare vita professionale e familiare, i dati occupazionali infatti peggiorano sensibilmente per le madri sole e per i nuclei privi di supporto parentale.
Problemi culturali
Secondo il rapporto OCSE: “The pursuit gender equality” esiste una forte differenza di genere rispetto all’occupazione, dato che peggiora ulteriormente in base al livello d’istruzione: le madri meno istruite hanno il 40% di possibilità in meno di essere occupate rispetto ai padri.
Di media le donne studiano più degli uomini, ma hanno meno probabilità di essere occupate e le difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita privata ricadono quasi esclusivamente sulla componente femminile della coppia.
In questo contesto il dato nazionale del divario di genere retributivo si mantiene relativamente basso, al 5,3%, in quanto il divario di genere agisce a monte limitano del tutto l’accesso al mondo del lavoro e la possibilità di fare carriera. Secondo la Banca Mondiale la perdita economica dovuta al gender gap è di circa il 15% del PIL.
La giornata lavorativa femminile è di circa 11,35 ore (circa 7 a lavoro e 5 in famiglia) e una madre sola lavora fuori casa circa 47 minuti in più, quando per un uomo è di 10,13 (2 ore di lavoro familiare); tuttavia, nelle coppie giovani con donna laureata, l’asimmetria nei lavori casalinghi si riduce, specie nel Nord.
Conclusioni
A oggi gli interventi a favore della maternità puntano perlopiù a incentivare la natalità, ma quello che servirebbe è un sostegno strutturato e a lungo termine alla genitorialità: sostegno economico, individuazione dei soggetti fragili, garanzia dei servizi educativi, introduzione di misure di sostegno nel sistema privato, tutela delle lavoratrici madri, maggiore coinvolgimento dei padri.
Offrire più eque opportunità alla madri resta una priorità essenziale, non solo da un punto di vista morale ed etico, ma anche economico.